– Un drone incuriosisce bambini e adulti, suscitando spesso molto interesse anche tra i non addetti ai lavori. Nel corso della mia esperienza di pilota di droni ho sempre cercato di rispondere alle curiosità di chi mi avvicina per chiedere informazioni.
Normalmente le prime domande che mi vengono rivolte sono: “quanto costa? Quanto va lontano?”
Così la conversazione ha inizio e, superato il primo imbarazzo, arriva anche la terza domanda: “… ma è difficile farlo volare?”
Con questo articolo colgo l’occasione per evidenziare le principali difficoltà di pilotaggio, tralasciando le tecniche di addestramento e gli adempimenti necessari per volare nel rispetto delle normative.
La prima cosa da chiarire è a che tipo di drone ci stiamo riferendo; ad esempio pilotarne uno con o senza assistenza GSP è notevolmente differente. Per semplicità prenderò in considerazione il Phantom 4 della Dji Innovation, che personalmente consiglierei sia per uso ricreativo che professionale.
Nella modalità assistita da GPS e con i sensori di prossimità attivati, ritengo infatti il pilotaggio di questo aeromobile piuttosto intuitivo e non troppo complesso. Devo però mettervi in guardia dalla tentazione di terminare qui lettura di questo articolo perché c’è ancora molto altro da sapere.
Prima di addentrarci nel merito è utile intendersi su alcuni termini. È importante sapere che i movimenti del drone nelle tre dimensioni dello spazio, su-giù, destra-sinistra e avanti-indietro, sono consentiti grazie a quattro tipologie di comandi chiamati: PITCH, ROLL, YAW e THROTTLE.
Il pitch, traducibile in italiano con il termine beccheggio è la rotazione attorno all’asse trasversale. Spostando lo stick del pitch in avanti, il drone abbasserà il muso e alzerà la coda avanzando, la cosa opposta accadrà spostando la leva indietro.
Il roll, in italiano rollio, descrive invece la rotazione del drone attorno all’asse longitudinale. Spostando lo stick del roll a destra il drone abbasserà il lato destro e alzerà quello sinistro effettuando un movimento verso la propria destra. Ovviamente all’azione inversa dello stick corrisponderà uno spostamento a sinistra.
Lo yaw, traducibile con il termine imbardata, descrive invece la rotazione attorno all’asse verticale del drone. La rotazione avverrà in senso orario spostando lo stick a destra e in senso antiorario con lo stick a sinistra.
Il throttle, infine, è l’equivalente della manetta del gas. Lo stick verso l’alto aumenta il numero di giri di tutti i motori contemporaneamente facendo salire verticalmente il drone, la manovra opposta si ottiene spostando lo stick verso il basso.
Tralascio volutamente le varie configurazioni del telecomando chiamate MODE 1 e MODE 2, in quanto non indispensabili per il nostro ragionamento.
Provando a guidare un’automobilina giocattolo radiocomandata, avremo sperimentato inizialmente la sensazione di non riuscire a governarla. In fatti non essendovi fisicamente sopra, come invece accade quando siamo alla guida di una bicicletta o di un’automobile, dobbiamo abituarci ad un punto di vista diverso e ad affidarci solamente a feed-back visivi e in taluni casi uditivi.
C’è inoltre da considerare che l’automobilina radiocomandata si muove in uno spazio “bidimensionale”, in cui i gradi di libertà da governare sono solo due: avanti-indietro e destra-sinistra.
Quando pilotiamo un drone invece, questo si muove in uno spazio tridimensionale in cui i gradi di libertà da controllare sono tre: avanti-indietro, destra-sinistra e su e giù.
Per far sì che l’aspirante pilota riesca ad adattarsi a questa nuova situazione è necessario un periodo di allenamento, una sorta di “scuola guida” per piloti remoti.
Il primo ostacolo che si incontra quando si avvicina all’aeromodellismo è la cosiddetta “inversione dei comandi” che si verifica quando l’aeromodello vola con muso rivolto verso pilota a terra. Questa situazione genera confusione in chi è alla prime armi e rappresenta uno delle principali cause di distruzione di aeromodelli.
Tornando all’esempio della macchinina giocattolo, questa sensazione l’abbiamo certamente sperimentata la prima volta che, guidandola con il muso verso di noi, pensando di girare a destra l’abbiamo vista andare a sinistra.
Questa situazione si complica ulteriormente quando pilotiamo un drone che, come detto, muovendosi in uno spazio tridimensionale ci porrà difronte ad una situazione a tre variabili. Il cervello del pilota infatti deve essere allenato a riconoscere la situazione in cui i comandi dello yaw, del roll e del pitch si invertono.
Per ovviare a questo problema alcune case costruttrici hanno introdotto il cosiddetto IOC (Intelligent Orientation Control) che consente di pilotare il drone dando sempre gli stessi comandi indipendentemente dal suo orientamento rispetto al pilota. In sostanza con la funzione IOC attiva, se il drone è rivolto con il muso verso di noi, per farlo muovere nella nostra direzione dovremo tirare la leva indietro, come accadrebbe normalmente con il drone girato di 180°.
Questa funzione ha fatto nascere due scuole di pilotaggio, la prima più “classica” e di derivazione aeromodellistica, che abolisce l’uso dello IOC e una seconda invece il cui approccio lo rende indispensabile.
Per quest’ultima scuola il drone va inteso come una sorta di “palla” in cui i concetti di muso e coda rischiano solo di creare confusione. Il limite di questo approccio è dato dal fatto che funziona solo a patto che il pilota non si muova dalla posizione iniziale e che il drone resti sempre in un arco di 180° dalla posizione di partenza. Il drone infatti modifica la risposta ai comandi in quanto, grazie alla bussola e al GPS, si orienta nello spazio rispetto alla posizione di partenza, ma ovviamente non può tenere conto di eventuali spostamenti o rotazioni del pilota. Se quest’ultimo infatti decidesse di farsi passare il drone sopra la testa e girarsi di 180° per pilotarlo si troverebbe ad operare con i comandi rovesciati.
Alcuni siti consigliano di iniziare usando questa funzione attiva e, una volta presa confidenza, provare a toglierla. Personalmente sconsiglio vivamente l’uso della funzione dello IOC ritenendola una scorciatoia poco fruttuosa per l’apprendimento e molto rischiosa anche in caso di malfunzionamento del GPS.
Il mio consiglio è di sposare un approccio più “purista” che vi richiederà un po’ più di pazienza e di tempo, ma vi consentirà di riportare a casa il vostro aeromobile quasi in ogni situazione. Il mio consiglio quindi è di imparare ad usare il drone come si farebbe con un aeromodello, ovvero senza scorciatoie tecnologiche.
Vi è infine da considerare anche il fattore psicologico che nelle situazioni di forte stress emotivo può giocare un ruolo fondamentale. Se infatti nei primi voli terrete il drone a pochi metri da voi, ma man a mano che prenderete confidenza vi verrà naturale allargare il vostro cerchio di azione. La normativa vigente prevedere che, nella migliore delle situazioni, possiate far allontanare il drone, fino a quando riuscite a governarlo a vista (VLOS) e comunque entro un raggio massimo di 500m ed una altezza di 150. Vi assicuro che non è semplice riconoscere l’orientamento di un drone delle dimensioni di un Phantom 4 già a 80-100m di distanza. Mantenere il sangue freddo in queste situazioni può salvare il mezzo e la vostra autostima. Non sareste i primi, infatti, che nel cercare di riportalo a casa lo hanno visto allontanarsi fino a sparire, dimenticandosi che avrebbero potuto risolvere la situazione attivando il ritorno automatico.
Vi possono però essere condizioni particolari, che non affronteremo ora, in cui anche i sistemi di navigazione automatici possono abbandonarvi e a quel punto dovrete fare affidamento unicamente alle vostre doti di pilota “puro”.
Se a questo punto della lettura la vostra curiosità si è trasformata in voglia di provare a pilotare uno di questi aeromobili, vi consiglio per prima cosa di cercare il gruppo aeromodellistico più vicino a voi e di iscrivetevi, così oltre ad un luogo sicuro dove volare, potrete avere anche l’assicurazione RC obbligatoria. Acquistate poi un drone economico, con 80-100 euro si può avere un prodotto adatto per iniziare e per divertirsi.
Mettete pure in conto che il primo drone avrà una vita limitata, ma certamente vi aiuterà a prendere confidenza con il mezzo e ad allenare il vostro cervello a questo nuovo tipo di “guida”.
Ricordo infine che l’uso professionale dei droni richiede il superamento di una visita medica (di seconda classe o LAPL a seconda della massa operativa del drone) e il conseguimento di un attestato presso una scuola autorizzata da Enac, dove apprenderete la teoria, ma dovrete anche cimentarvi con diverse ore della fondamentale e buona pratica.
Per concludere, la risposta alla domanda da cui siamo partiti è piuttosto articolata, ma in sintesi ci ricorda come l’apprendimento del pilotaggio di un drone richieda impegno, dedizione ma soprattutto buonsenso.